Da bambina il mio tempo mi appariva spesso in “sospeso” un po’ come l’attimo esatto in cui una foglia si dondola da un ramo sapendo di dover cadere, come il sole all’alba che scivola timido da dietro le nubi e si nasconde prima di apparire o ancora come l’onda di mare che si struscia su di una roccia prima di calmarsi . Era il mio tempo, quel tempo straripante di attese, insidioso di timori, agitato di rabbia, era solo momento che attende di essere capito , che tace di rumore scalciando silenzio per essere ascoltato, anche la mancanza della mia famiglia era quel pensiero insolente e rincorrente che muoveva i suoi passi sulla fune dell’improbabile e dell’ incerto: troppe cose celate, troppe domande senza risposta e troppo freddo per sentirli compresi in me e parte integrante della mia esistenza.
I miei ricordi sono tutti frammenti, la mia infanzia un mosaico di immagini e parole di odori e di pelle , occhi e mani da riconoscere, da catalogare, decifrare , ordinare, la mia vita un mosaico da ricostruire con pazienza e ardore per capirne il motivo o soltanto il suo tempo.Mi succede sovente che vengo investita da coriandoli, pezzettini minuscoli di sensazioni che improvvisi piovono sul cuore e si muovono caotici, mi scombinano la mente , mi stordiscono fino a travolgermi nel loro caos.Sono attimi, istanti, periodi, stagioni e fasi complete di ricerca, selezione, perdita, morte e resurrezioni da questa matassa informe tendo di estrarre una mappa che mi riporti esattamente dove non mi trovo e da quel punto esatto costruisco un punto di partenza per altre destinazioni che mi conducano ad afferrare il senso di quel tempo perduto, rimasto sospeso tra mille parole non dette, abbracci e carezze mai dati, amore negato e dimenticato.
Per tutta la vita ho cercato quei punti fermi, stabili necessari per ristabilire l’ordine tra il disordine in cui la mia anima ha dovuto comporsi e formarsi, non li ho trovati tra le immagini sbiadite e usurate dalla memoria che le ha scartavetrate tutte, una per una levigandole con i sassi che avevo nello stomaco, non le ho sentite mai nelle parole che provano a giustificare le colpe e nemmeno tra le mani di chi mi lisciava i capelli scrutandomi i pensieri e ancora non li ho visti mai nella rabbia, nella durezza, nella gelosia, nel tormento e nella cattiveria, li ho trovati sempre tutti racchiusi nella Misericordia e nell’Amore.Tutte le volte che ho dilatato all’inverosimile il cuore per provare ad ascoltare ho potuto capire la pace dopo una spietata tormenta, il sorriso strizzato da lacrime di fuoco, il tempo che volevo vivere incastrato e strozzato tra il baratro e l’aria.
Oggi potrei essere ancora quella bambina che gioca nel cortile di un convento con lo sguardo rivolto perennemente all’inferriata del cancello, quella piccola curiosa che non si accontenta di sapere ma cerca ostinatamente di capire la ragione di ogni cosa, quella discola impertinente che origlia tra il rumore del mondo per sapere se esiste una voce che tutti possono capire, quella bimba che aspetta un abbraccio, un sorriso, un cenno soltanto per non sentirsi dimenticata, quella bimba e basta che vede il mondo troppo grande e misterioso per non provare il desiderio di possederne almeno un angolo minuscolo, appartato da poter ritrovare in ogni momento.Potrei essere e sono ancora quella bambina, ma allo stesso modo potrei essere e sono una donna nel pieno della sua energia , carica del suo vigore ed entusiasta di ogni passo già fatto e di tutti quelli avvenire verso la gioia, la bellezza, la naturale armonia che governa il mondo quando si lascia guidare dal cuore e potrei essere ancora una vecchietta di mille e più anni che assapora il suo tempo come fosse già tutto il tempo che ha avuto e che potrà mai avere, saggia di dolore e felice per ogni sua piccola gioia, satura di vita da colmarsi oramai soltanto con ciò che rimane da dare.
Oggi potrei avere davvero qualsiasi età, la mia vita a tratti rispecchia ogni stagione, ogni evento, perché ho voluto smarrire quel rigore con il quale ho pesato la consistenza di quegli anni impregnati di solitudine e abbandono, ho compreso che il tempo non andava calcolato, misurato, sulla bilancia il dolore oscillava verso il lato oscuro e triste dell’esistenza, mentre la gioia con la sua leggerezza dava al cuore occhi ed ali, fantasia, immaginazione, poesia per superare i limiti e gli ostacoli, facendomi sentire viva e animata sempre da quel soffio di Bene che ha permesso la mia esistenza.
Venivo spesso rimproverata dalle suore per la mia immaginazione che mi portava ad esagerare ogni piccola insignificante cosa e tramutarla in storie fantastiche, dialoghi interminabili e silenzi allarmanti, a dire il vero non ho mai compreso fino in fondo il perché di questi richiami continui, non ho mai capito cosa spaventasse tanto loro e il perché dei miei timori quando mi accorgevo di un’occhiataccia improvvisa mentre giocavo o conversavo con le compagne di gioco.Avevo l’abitudine di giocare con ogni cosa: una pietra, un filo d’erba, il cibo per il pasto, con gli occhi, le parole, le mani…insomma ogni cosa poteva essere trasformata magicamente in quello che desideravo al momento, è vero che la necessità aguzza l’ingegno, secondo un vecchio detto, ma la mia necessità era pura fame di bene, di cose belle, di gioia, di mamma, di casa, di tavola apparecchiata e visi conosciuti, di minestra anche scaldata che scende a riempire lo stomaco fino a sentirsi sazi, era fame di occhi che potevano descrivere somiglianze lontane e sangue nel carattere trasmesso dalle leggi della natura, era appetito per la vita, quella che scorreva lontano, quella sconosciuta, quella tutta da scoprire e ritrovare era non sentirsi diversi, rifiutati, sfortunati, questa necessità aveva aperto la mia mente ad ogni possibile possibilità, la mia fantasia era il mio cavallo di battaglia con lei correvo, galoppavo lontano nel mondo che sapevo appartenermi per il solo diritto di esserci.
Ed è grazie alla fantasia che una piccola pezza attorcigliata con cura diventava una bambola da accudire e cullare per giocare a fare la mamma, tanti pezzi di pasta cruda infilati su un filo di lana, collane preziose da indossare per l’evento importante o il gradino più alto di una scalinata, il palco di un teatro dove proporre uno spettacolo in recita e canto intrattenendo spettatori senza più scena.Tutto ogni giorno per me era qualcosa da inventare, modificare, trasformare tutto era colmare vuoto contro vuoto, era sopravvivere all’attesa senza farsi stremare dalla delusione per questa ragione, credo di non avere brutti ricordi della mia infanzia, ma soltanto memoria di un tempo passato in sosta, un tempo dove ho allevato senza sapere la Speranza per farla diventare poi in seguito e per sempre compagna, amica, madre e sorella.
Lei non mi ha mai tradito, non mi ha mai ignorato, mai dimenticato, io non posso dire lo stesso, qualche volta non ho creduto nella sua forza e mi sono ritrovata sola senza via d’uscita, quasi morta, non voglio dire con questo che ho sempre ottenuto quello in cui speravo, anzi per la stragrande maggioranza delle volte, non ho ottenuto affatto quello che volevo, ma soltanto quello che era giusto per me in quel determinato momento, troppe volte non ho compreso perché i miei desideri sono stati accantonati ed ho avuto proprio tutto quello che mai avrei voluto ottenere, ma in ogni caso sono sempre stata in grado di superare la delusione ed andare oltre, e nulla, niente della mia storia è capitata per caso o per sbaglio.
Per troppo e lungo tempo mi sono chiesta in convento che bambina sarei stata con accanto la protezione e la cura di mia madre, quali paure non avrei mai conosciuto? quali preoccupazioni non avrei mai avuto? quale sarebbe stato il mio sorriso oggi dopo mille sguardi d’amore e dedizione dei miei genitori? Non lo so e mai lo potrò dire, sicuramente non sarei stata così deliziosamente vulnerabile alle gentilezze della vita, non mi sarei così umilmente arresa alla forza dell’Amore, non avrei questo cuore, così troppe volte raccattato tra rovine insipide di niente, non sarei così ardente di calore da dare per scaldare, non sarei semplicemente io, distratta, eccentrica ,”strana”, io, con la misura di un tempo che mi è servito per soppesare, scegliere, pensare e decidere con istinto e passione la direzione giusta da dare a questa vita anche quando non assomiglia a nulla che mi piace per davvero, anche quando non mi resta altro che aspettare proprio come allora, in quel convento tra gente provvisoria che mai più ho avuto la possibilità di vedere e incontrare, gente come me messa da parte un po’ e forse per sempre in attesa di tempi migliori.
Penso sovente a loro, alle mie compagne, mi sforzo di ricordarne i nomi, i lineamenti, il suono della voce, di loro mi appaiono una moltitudine di fotografie intense e vivide emozioni, ed è come rivivere ancora certe sensazioni: paura, tristezza, solitudine, altre volte sono sorrisi, schiamazzi, urla spensierate e canti di gioia, mi piace ricordare di loro queste ultime cose, mi piace pensarle adesso con gli anni e la vita alle spalle con la stessa risata, la stessa espressione gioviale e leggera, mi piace credere che si sono salvate , che non portano ferite aperte lasciate dai morsi del distacco.
Spero siano state tutte più fortunate “dopo”, che abbiano ritrovato l’amore perduto della loro famiglia o che ne abbiano costruita una nella quale riversarlo, insomma spero tutto il bene che esiste per ognuna senza distinzione alcuna e mi auguro che la loro memoria abbia scelto di cancellare tutti i momenti più duri che non sono riusciti a sopportare, lasciando in cambio nel loro cuore un seme di Speranza pronto a fiorire senza stancarsi, ogni volta e sempre anche nel terreno più insidioso.
G.M