
Le radici di una pianta sono fondamentali, essi assorbono l’acqua e i sali minerali indispensabili per la sopravvivenza della stessa ed hanno anche una funzione di ancoraggio e produzione degli ormoni dai quali dipende lo sviluppo della radice stessa e del germoglio, il trapianto nelle piante è traumatico, ma con la giusta accortezza e attenzione le radici tornano a svilupparsi con pochi problemi per la crescita e gli anni a venire.
Bisogna tenere conto di molti fattori nella fase di trapianto per garantire la vita e lo sviluppo della stessa, primo tra tutti necessario valutare bene l’ambiente del luogo di impianto .
Conoscere la composizione del terreno perché la sorgente di vita di ogni pianta è il suo sistema radicale, le condizioni del suolo e sapere se il terreno è principalmente sabbioso, limoso o argilloso.
Una volta che la pianta è stata messa nel terreno, vi sono altre operazioni da considerare. Certi alberi possono avere bisogno di essere tutorati. Se l’ albero non è ben ancorato, il movimento del tronco può spostare la zolla, rompendo le giovani radici. Purtroppo, molti alberi vengono tutorati impropriamente o senza necessità oppure i sostegni non vengono mai più rimossi.
Una delle preoccupazioni più importanti poi è l’acqua. Molti problemi di attecchimento sono causati da troppa carenza o da troppa abbondanza di acqua.
La velocità di infiltrazione dell’acqua nei suoli argillosi è così lenta, che gran parte dell’acqua scorre via prima di bagnare il terreno. Le piante nei terreni argillosi dovrebbero ricevere l’acqua molto lentamente e di rado, ma in alta quantità. Se il terreno è mantenuto troppo bagnato, si sviluppa una condizione anaerobica di mancanza di ossigeno. All’opposto, i terreni sabbiosi dovrebbero essere irrigati frequentemente poiché l’acqua drena rapidamente.
Quando detto finora, descrive a grandi linee una guida pratica al trapianto degli alberi , ma potrebbe essere adattata allegoricamente a tutti i bambini che per svariate ragioni vivono e crescono lontano dai loro genitori naturali.
Io ero come un albero trapiantato , le mie radici si sono dovute adattare a un’altra terra.
Troppo spesso l’acqua non mi è arrivata, l’ho vista solo scorrere senza bagnare, altrettante volte mi ha inondato impedendomi il respiro fino a sentirmi soffocare e qualche volta era solo un deserto di sabbia e arsura.
Tutto mi era estraneo,profumi, sguardi, parole, pensieri ed atteggiamenti,in ogni cosa faticavo a riconoscere le mie radici.
Credo che questa sia stata una delle ragioni che mi hanno condotto a rifugiarmi,nei momenti più difficili in un mondo quasi parallelo costituito da una fervida immaginazione, sognavo e fantasticavo scavando nella memoria alla ricerca di una traccia e di un indizio che mi portasse tra le braccia dei miei genitori, nel mio lettino, nella mia stanza, abbracciata dall’amore di mia madre e dallo sguardo di mio padre.
Spesso i miei tentativi risultavano vani ed allora spontaneamente il mio pensiero correva a Dio.
Mi sentivo rassicurata dall’idea di un Padre onnipresente, uno “spirito” invisibile,non percepibile che seguiva ogni mio passo, che osservava ogni mia azione, che riusciva a vedermi persino il cuore e tutto quello che non avrei mai saputo dire a nessuno, un Dio che avrebbe fatto il possibile per farmi felice che chiedeva in cambio soltanto di essere amato e riconosciuto.
Sono fermamente convinta che la spiritualità nei bambini è innata e naturale, basterebbe osservarli mentre corrono e giocano, nei loro slanci d’amore e generosità,nella meraviglia e nello stupore, nel pieno della loro gioia “pura” limpida scevra di inutili preoccupazioni per rendersi conto della bellezza di qualcosa di misterioso e immenso.
Tra le suore, in convento tutto questo era facilitato oltre che dalla catechesi e dalle giornate scandite rigidamente da pause di preghiera, anche dall’esempio concreto di persone che in Dio credevano e per questo stesso Dio erano presenza, erano cura, terreno,acqua e aria e qualche volta persino amore, per chi come me improvvisamente e per qualche ovvia o strana ragione era soltanto un giovane albero trapiantato altrove.
Mi è capitato di vedere in età adulta una di queste suore, fortunatamente per me e con grande gioia sono riuscita a rivederla, ritengo questo episodio illuminante per tutta una serie di circostanze, intanto per la possibilità di poterla ritrovare, fatto alquanto raro e difficile, visto che il convento dove ho vissuto non esiste più
come struttura di accoglienza per bambini in affido, ma si è trasformato in una associazione per ragazze madri, le suore di allora sono state tutte fatte rientrare nella Casa Madre, e già in quel periodo erano soggette a trasferimenti continui, forse per evitare legami emotivi o per dinamiche interne riferite alla loro organizzazione religiosa, in secondo luogo per tutto ciò che ci siamo dette, per ogni emozione positiva e per ogni ricordo di bene scaturito dall’incontro.
A dire il vero abbiamo passato molto tempo a raccontarci e a rammendarci la vita di quel tempo, ma una frase mi è rimasta impressa ed ogni tanto non posso fare a meno di ripescarla nella mente, lei mi disse: <<Vedi cara, tutte quelle preghiere, che sei stata costretta ad imparare a memoria, a recitare quasi automaticamente e come una cantilena erano soltanto piccoli semi piantati nel tuo cuore, a tempo debito hanno prodotto i loro frutti, tu questo allora non potevi saperlo, ma hai permesso a Dio di restare in perpetuo contatto con la tua vita, ti hanno fatto crescere “sana”>>.
Non posso non condividere questa affermazione, è vero allora mi pesava spesso dover dire le preghiere, detestavo essere interrotta nel bel mezzo di un gioco o di un divertimento dalla campanella che ci richiamava in cappella a quasi tutte le ore, il Rosario e la Messa tutti i santi giorni, e poi le lezioni di catechismo e le benedizioni, le lodi e tutto il resto, ma ogni attimo, ogni parola rivolta a Dio hanno alimentato la rassicurazione dell’amore e della speranza e il senso della meraviglia per il mondo e la vita.
Posso riconoscere nell’educazione alla spiritualità il merito di aver rinvigorito le mie radici così brutalmente scosse da un distacco forzato e quasi innaturale con tutto ciò che rappresentava il mio terreno d’appartenenza e di crescita.
Sono cresciuta, mi sono forgiata e plasmata mille volte nel corso degli anni , ho ceduto e sono crollata esausta alle raffiche degli eventi accaduti dopo, mi sono dovuta adattare ancora al rientro nella mia famiglia, ho dovuto rifare ancora trapianti, dolorosi e impossibili , ho toccato il fondo e la disperazione più cruda in tante occasioni, fino ad aver voglia di morire,ho messo in dubbio tutto e persino me stessa prima di potermi trovare e sentire intatta, ho smarrito la mia fede, l’ho messa in dubbio e poi l’ho ritrovata ,ho amato Dio e qualche volta ci ho fatto delle liti furibonde, l’albero della mia vita assomiglia adesso a una quercia secolare dalla corteccia forte, incisa da croci e bandiere, molti dei miei rami sono spezzati dai distacchi e dalla solitudine, eppure si ergono possenti sempre verso il Cielo, magnifici e rigogliosi nel continuo ricambio di fiori e frutti di stagione, il mio albero si china ai piedi delle radici assorbe acqua e si rigenera ed ogni voltasento il richiamo della campanella e si espande nel mio cuore un senso di pace che acquieta ogni paura, e il buio si allontana lasciandomi fiducia e speranza, e riconosco quel Dio che da bambina seguiva ogni mio passo, ascoltava ogni mio battito ed ogni desiderio, mi abbracciava clemente dopo aver promesso di imparare dagli sbagli e di voler provare a crescere buona, giusta e vera così come a Lui piaceva, sento quel Dio ancora intriso di mistero e onnipotenza che tutto può, tutto guida, quel Dio che è “Amor che move il sole e l’altre stelle”.
Ma devo tornare bambina per abbandonarmi completamente a questo sentire così puro e immenso, devo tornare stranamente proprio in quel luogo che per tanto e lungo tempo ho sentito estraneo ed avverso, devo ripercorrere i momenti più difficili e tormentati della mia storia, carpendo la forza che inconsapevolmente allora mi ha permesso di resistere al trauma del trapianto, per continuare adesso ad affrontare ogni cambiamento, ogni modifica, ogni rivoluzione, morte e resurrezione che fanno parte della vita, insite in ogni esistenza.
Devo tornare ai ricordi di gioia incontaminata, fervida e tremante di meraviglia per ogni mistero, ogni piccola cosa che si muove, vive e respira, per ogni ogni cosa bella che mi ha riempito, che mi ha consolato dalle brutture, dalle cose ingiuste e sbagliate, devo far riemergere dal profondo tutte quelle sensazioni che mi hanno spronato ad accettare tutto quello a cui non ho dato una ragione per esserci…e la memoria rimane il mio altare sacro dove onorare ancora il senso di questo viaggio, dove deporre il dolore in attesa che si tramuti in preghiera e forza per affrontare il mio domani.
Qualche volta queste tracce di memoria mi spingono a credere che non sono in grado di cedere alla disperazione, perché il ricordo di qualcosa di più grande e immenso è talmente potente e radicato nel mio essere da spingermi sempre oltre anche oltre la ragione di credere di poter morire schiacciata dalla sofferenza.
Il pensiero di me bambina,che si addormenta sulla panca della cappella davanti allo sguardo sofferente di Cristo in Croce, sanguinante e umiliato dalla crudeltà dell’uomo, cullata dall’organo che suona una Fantasia di Bach, quelle percezioni di vastità e bellezza, è indelebile, magnifico e di immane bellezza, quel volo dei sensi che trascendono la coscienza sono un’attrazione irresistibile.
Tutto ciò non significa che sono immune, anzi piuttosto incline a momenti difficili e di sbandamento, ma stranamente e incredibilmente mi accorgo di essere destinata a resistere.
Per quanto tempo ancora non so, ma rimane la certezza che fintanto rimarrà nel mio profondo un segno di questo ricordo, io mi sentirò capace di non avere paura del silenzio, del dolore, della fine del mio cuore e della morte, di tutto ciò che compromette la mia stabilità e il mio equilibrio sulla fune della vita.
G.M